lunedì 17 marzo 2008

Riflettiamo anche sulla nostra comunicazione..

cari lettori, vi propongo una singolare analisi sul "ma-anchismo" veltroniano, scritta da Giuseppe Veltri, uno dei principali blogger italiani..Veltri ci presenta due tesi..la prima è quella più critica, adottata dalla satira e abusata magari da qualche avversario, la seconda invece da ragione a Veltroni, paragonandolo a quei vecchi saggi cinesi..:-)

Il Tao di Veltroni

Quando vidi per la prima volta la caricatura di Walter Veltroni ad opera del comico Crozza, ho riso come chiunque altro ma ho avuto una sensazione di familiarità che ho individuato dopo un po’ di tempo. Mi avventuro, quindi, in un ragionameno atipico sulla politica di Veltroni che è lontana dai dibattiti quotidiani e volutamente astratta. Il pretesto lo fornisce l’arcinoto “Ma anche” Veltroniano che ormai viene ripreso un po’ da tutti i mass media e persino nel linguaggio comune. A mio modo di vedere, ci sono due modi sostanzialmente divergenti di interpretare l’atteggiamento veltroniano.
Il primo, piuttosto tranciante, è quello di considerarlo un atteggiamento ambiguo ed ondivago, segno una identità politica debole che non sa dove collocarsi, con il pericolo di perdere la propria identità o approdare a derive trasformistiche. Questa è una forma chiara di pensiero occidentale, basato sul principio di non-contraddizione, o sei per X o sei per non X, non puoi essere per entrambi. Sono le accuse rivolte da Bertinotti ed altri a Veltroni, quelli di essere pieno di contraddizioni e di essere a capo di un partito che le rispecchia.
Ma se un discorso di Veltroni o anche la sua caricatura di Crozza per caso capitasse in Estremo Oriente, suonerebbe come assolutamente ragionevole, anzi come saggio. Gli stili cognitivi di quei popoli (Cina, Corea e Giappone su tutti) sono molto diversi da quelli occidentali e sono orientati (da molti secoli) a diversi princìpi logici e filosofici, quelli del taoismo.
In effetti, considerare il “Ma anche” alla luce di questi princìpi, ci da una prospettiva molto diversa. Descriviamoli, quindi, brevemente.
Il princìpio del cambiamento. La tradizione di pensiero dell’Estremo Oriente pone molta attenzione sulla costantemente mutevole natura della realtà. Il mondo non è statico ma dinamico e modificabile. Essere in un dato stato è soltanto segno che quello stato è in procinto di cambiare. Visto che la realtà è un costante flusso, i concetti che riflettono la realtà sono fluidi e soggettivi piuttosto che fissi ed oggettivi.
Il princìpio della contraddizione. Dato che il mondo è in costante cambiamento, opposizioni, contraddizioni e paradossi vengono continuamente creati. Il vecchio ed il nuovo, il buono ed il cattivo, il forte ed il debole esistono in tutte le cose. Infatti, gli opposti si completano e costituiscono a vicenda. Nel Taoismo, i due lati di ogni apparente contraddizione esistono in una attiva armonia, opposti ma connessi e mutualmente controllati l’uno dall’altro.
Il princìpio olistico. Come risultato del cambiamento costante e delle opposizioni, nulla esiste in modo isolato ed indipendente, ma è connesso ad un moltitudine di cose diverse. Per conoscere veramente qualcosa, dobbiamo conoscere tutte le sue connessioni.
Questi tre princìpi sono ovviamente collegati tra loro. Il cambiamento produce le contraddizioni e le contraddizioni producono il cambiamento. Il cambiamento costante e le contraddizioni implicano che è senza significato discutere l’aspetto individuale senza considerare le sue relazioni con la totalità ed i suoi stati precedenti.
Questi principi, inoltre, implicano una altro importante aspetto del pensiero orientale: la ricerca di una “Via di mezzo” tra posizioni estreme. Vi è una forte accento sul ritenere le contraddizioni come apparenti e nel credere che “se A è nel giusto, neanche B sbaglia”. Questa filosofia è splendidamente riassunta dall’aforisma Zen buddista “l’opposto di un grande verità è anch’esso vero”.

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